CinePlex PARADISO
via R. Caputo 15b
Palazzina Laf, il film diretto da Michele Riondino, racconta i fatti realmente accaduti che riguardano la Palazzina Laf, acronimo di "Laminatoio a freddo" e reparto dell'acciaieria ILVA di Taranto, dove venivano confinati e mobbizzati gli impiegati che si opponevano al declassamento. Non potendo licenziarli, li lasciavano a far nulla.
Siamo alla fine degli anni Novanta, precisamente nel 1997, e attraverso le storie grottesche dei protagonisti, viene messo in luce lo scandalo che fu al centro di un processo. La cosiddetta "novazione" del contratto, cioè la cancellazione del ruolo svolto fino a quel momento, sostituito sul contratto da una nuova posizione da operaio, che ha riguardato un gruppo di impiegati e magazzinieri che ribellandosi finirono piazzati nella Palazzina Laf. Pagati per non fare nulla, deprivati della dignità di lavoratori, si aggiravano per i corridoi, senza una scrivania o mansioni specifiche, in attesa che scadessero le otto ore d'ufficio. Nel novembre del 1998, un processo condannò in tutti i gradi di giudizio i responsabili e gli alti dirigenti dello stabilimento, liberando finalmente le vittime di questi soprusi.
Il film, nello specifico, racconta la storia di Caterino (Michele Riondino), un uomo semplice e un po' rude, appartenente agli operai che lavoravano all'ILVA. L'uomo vive in una masseria, caduta in disgrazia, e sogna insieme alla fidanzata di trasferirsi in città. Quando i capi dell'azienda decidono di fare di lui una spia, incaricata di individuare i lavoratori di cui è necessario liberarsi, Caterino diventa l'ombra dei suoi colleghi e prende parte agli scioperi soltanto per denunciarli. Quando anche lui chiede di essere trasferito alla Palazzina Laf, non sapendo bene quale degrado vi si nasconda, Caterino scoprirà che quello che credeva essere un paradiso è in realtà una machiavellica strategia per provare psicologicamente i lavoratori fino a spingerli a dimettersi o ad accettare il demansionamento. A sua spese scopre anche che da quell'inferno non c'è una via d'uscita.